Roberto è un tipo romantico. a volte mi chiedo chi me l’abbia mandato. altre, invece, cosa possa avere io di così eccezionale per attrarlo. non lo sò. forse lui è uno di quei tipi che si accontenta. o forse era stanco della sua vita da latin lover, e ha cercato una che fosse l’opposto di tutte. di tutte le sue ex conquiste.
non è un ottimo cuoco. però ci sa fare. e poi guadagna bene. può permettersi di ordinare le cene galanti a domicilio. in quel ristorantino che c’è tra la settima e la nona. quel localino molto chic che vende esclusivamente cibo francese.
è stato tutto fantastico! c’erano ostriche con panna e porri, moules marines, salmone au beurre blanc, rana pescatrice ai ferri, un petit friture di crostacei e pesciolini. tutto assaporato con dell’ottimo vino bianco.
Rob è un tipo elegante, distinto. è gentile, disponibile, mi riempie sempre di complimenti.
sarebbe l’uomo della mia vita.
se solo.
se solo non ci fosse quel mio piccolo problema. quel mio dannatissimo problema, che mi porto dietro da sempre. che fa di me la donna infelice che sono. no! no no. lui non c’entra. lui è dolce. lui è sensibile. sono io il problema. io!
terminata la cena mi ha presa per mano. siamo andati sul divanetto di velluto, mentre lo stereo cambiava automaticamente i cd prescelti.
abbiamo cominciato a baciarci. mischiando l’umido delle nostre lingue. gli ho baciato il collo, so che lo adora. poi mi ha sbottonato la camicetta, scostando il reggiseno ha iniziato ad assaggiarmi i capezzoli. a baciarmi la pancia, e più in basso, scostando gli slip sotto la gonna. il mio braccio l’ha staccato bruscamente da me. ho gridato. gli ho detto di andarsene.
mi ha guardata come se fossi pazza.
io l’amo! ma non voglio mi tocchi. non voglio! non posso!
ho rivisto quella scena. ripetuta milioni di volte. di quella volta di me a dieci anni.
ci sono io. una magliettina grigia aderente. il seno acerbo. zio Jon, il fratello di mio padre, fa apprezzamenti sul mio fisico “ti stanno crescendo le tettine. vedrai quanti ne avrai tra un po’ in mezzo a quelle coscette”.
io non capivo. ne avrai di cosa? ne avrai DI COSA? poi ho pensato si riferisse ai peli pubici. un compagno, a scuola, aveva preso da parte me e un’amica, già sviluppata, e mi aveva chiesto se lo sapevo che la figa è pelosa. io non gli avevo risposto. ma mi ero accorta di non essere più come da bambina. pensavo zio John si riferisse alla stessa cosa.
“vieni. siediti qui sulle mie gambe. come da piccolina, che parliamo un po’ “. io voglio un sacco di bene a zio John. mi siedo. le sue mani mi accarezzano le cosce. e di fianco al tronco, sfiorando quell’accenno di seno. ho un brivido. poi penso lui non l’abbia fatto apposta. mi chiede se voglio un gelato. lo vorrei, fa un caldo terribile. ma non voglio andarci con lui. non rispondo.
“Luca! porto tua figlia a prendere un gelato. Me la presti?” mio padre sorride, e acconsente
“Papà non ho voglia. Sono un po’ stanca”
“Stanca? a dieci anni? Vai, vai con lo zio a prenderti un gelato. forza pelandrona”
salii in macchina con lo zio. la sua auto suonava quei vecchi country, vecchi già allora. mi portò a prendere un gelato, poi si diresse verso casa sua
“Devo tornare da papà”
“Tranquilla…prendiamo solo una cosa e andiamo dal tuo papà. dai, entriamo”
Entrai. lo zio John mi guardava. il freddo del gelato diventò un tutt’uno col freddo che sentivo addosso. Lui iniziò ad accarezzarmi i capelli. le guance. poi mi disse di fargli vedere la mia patatina. sperai in Dio di aver capito male
“Dai, sbottonati i jeans. me ne fai vedere solo un pezzettino”
i ricordi sono sfuocati. ricordo le sue mani e il suo alito caldo su di me. ricordo il gelato per terra. ricordo il suo ansimare. ricordo lui che si sbottona i jeans. ricordo un coso grande e duro che enta con forza dentro di me. tre/quattro/cinque/dieci volte. ricordo le lacrime. ricordo lui che mi dice “va che casino che hai fatto! tira su il cono. ah, non dire niente a tuo padre del nostro segreto. l’ho fatto in suo nome”