POSTUMI SO CHIC
{a causa di un dannato pc}
06 Settembre 2007, Giovedì h. 22.28
Non sono una sua fan. Non sono una sua fan sfegatata: questo
intendevo. Sono una che ha letto qualcosa di lui, ne è rimasta colpita,
ha un lavoro che la sta distruggendo, ha colto al balzo
quest’opportunità per incontrarlo al Festivaletteratura di Mantova. Lui è
Chuck Palahniuk (pronuncia PALONIC, non PALANIUC). È uno scrittore
statunitense. Per alcuni un genio, per altri un emerito sconosciuto. Se
vi dicessi “Fight Club”? Sì, bravi! Il film con Brad Pitt ed Edward
Norton. Quello delle botte, delle saponette fatte col grasso da
liposuzione, dell’appartamento arredato Ikea, delle persone che simulano
di avere un cancro per poter far parte di un gruppo. Ecco: è lui
l’autore.
Prima di quel libro, completato in sei settimane durante le quali ha
partecipato ogni sera a una festa, ne aveva scritto un altro (“Invisible
Monsters”). Due anni sottratti alla sua vita esclusivamente per
scrivere. E gli pesava farlo. Due anni in cui si ripeteva “farai un
sacco di soldi, sarà un successo”. E invece è stato rifiutato da varie
case editrici. Pubblicato tre anni più tardi.
“Fight Club” l’ha scritto divertendosi. Senza pensare al dopo. Al
fatto che sarebbe diventato un cult e che ne avrebbero tratto un film
costato 63 milioni di dollari! Soddisfatto del film? Lo scrittore dice
di sì “con tutti i soldi che ci hanno speso” e sorride.
Chuck è magro, alto, rasato calvo, con un bel sorriso. Dalla fila di
mezzo in cui ero seduta continuavo a guardarmi in giro. Ho pensato
potesse essersi nascosto tra di noi, con indosso un paio di occhiali
scuri, che all’improvviso si alzasse e facesse un “ingresso SHOCK” tra
duecento “ahhhhhhhhhhhhhhhh”. Invece no. Dopo venti minuti d’attesa, in
cui qualcuno applaudiva l’ingresso di ogni uomo singolo che entrava, è
arrivato. Da dietro una telecamera di spalle, con al seguito
intervistatore e traduttore.
Quando è entrato nel Giardino della Cavallerizza (a Palazzo Ducale)
il cuore sembrava volermi uscire dal reggiseno a quadrettini che sbucava
dal vestito, e mi mancava l’aria. My God! Chuck Palahniuk!
Non ho appuntato nulla sei ore fa, durante la conferenza. Ma al
risveglio stamattina ero emozionata come i bimbi che devono andare in
gita. Ripeto: non sono una sua fan. Sono una che vorrebbe scrivere,
scrivere davvero, e crede lui sia un potenziale maestro. E ora lo avevo
davanti.
Ho letto solo due libri suoi: “Cavie” (ho impiegato un sacco di mesi,
non mi è piaciuto e, a detta dell’intervistatore, ha una delle più belle
copertine in commercio) e “Soffocare” (letto in tre giorni, di brutto
tempo in Sardegna. Eccessivo, secondo me, nel voler raccontare tutto, ma
con un gran colpo di scena). Ma a volte “ti innamori” senza bisogno di
troppi perché.
Lo temevo, un po’.
La prima volta che ho visto il suo volto d’angelo sulla quarta di
copertina di “Cavie”, mi son detta “mioddio, questo è pazzo!”. E ora era
qui. Quasi timido. Un po’ distante dalla scrivania/microfono, come se
fosse in secondo piano, come se così facendo tu potessi non notarlo. Gli
hanno chiesto perché il pesce rosso di “Cavie” muore fuori scena. Lui
ha detto gli animali non chiedono amore. Siamo noi che glielo diamo,
incondizionatamente. E proprio perché non chiedono nulla, non si
meritano gli facciamo nulla. Forse per questo ci sconvolgiamo così tanto
quando vediamo animali morti in televisione. Più che le persone.
Per lui scrivere è divertimento, e in più ci guadagna pure un sacco
di soldi. E ha riso. Chuck ride un sacco. È un uomo divertente,
schietto, educato. Gli hanno fatto qualche domanda sul suo modo di
scrivere. Lui ha sottolineato il suo modo di valorizzare, di dare un
nome preciso, di rendere ben identificabili “cose banali”. Come una
saponetta. Come Il Fight Club (tu hai mai saputo dell’esistenza dei
Fight Club? Eppure, dopo Palahniuk, se ne senti parlare, ripensi a QUEL
Fight Club). Come i codici in aereo, come i termini medici (Soffocare).
I suoi libri nascono dal vissuto, da dialoghi, da documentazioni.
“Rabbia” (Rant), il suo ultimo romanzo, è un libro orale, più persone
dicono la loro su una cosa che è accaduta. Magari senza nemmeno un filo
logico. Magari senza nemmeno incastrarsi bene. Magari poi quella cosa
nemmeno è successa davvero.
Dice di far molto caso alle persone, ai loro dialoghi. E quando
qualcuno gli racconta qualcosa, ci pensa un po’ prima di cancellarlo
dalla mente, perché potrebbe scriverci un racconto.
Chuck ha chiesto se c’erano domande. Per ogni domanda avrebbe
regalato una busta. Il pubblico, duecento persone sui 25-30 anni, di cui
una decina sui 40-50 e una coppia sottobraccetto di nonni (di Chuck?),
non ha reagito. Lui ha ripetuto l’offerta dicendo che nella busta c’era
un indirizzo e-mail a cui spedire una domanda, lui avrebbe risposto e
inviato un regalo. È stato in quel momento che una trentina di persone
(compreso il mio accompagnatore) si sono fiondate verso di lui.
“Ah ah ah” ha riso. “Something like this has never happened to me
before. It’s the first time!” Ha detto che aveva solo dieci buste e ha
scelto un ragazzo/una ragazza/un ragazzo/una ragazza fino a esaurimento.
Non ricordo le domande dal pubblico. Ricordo le due a cui non ha
risposto: “ho notato una somiglianza tra il suo libro e bla bla bla… lei
cosa mi dice?” – e lui – “I don’t know this book” e c’è stata una
risata collettiva e una standing ovation di applausi. Poi ha aggiunto
che c’è la gente che va al college e scrive in modo forbito delle
cazzate e c’è la gente che “vive”, che, magari, come lui viene dal
giornalismo e scrive senza filtri di cose vere a cui nessuno presta
attenzione.
Un’altra ragazza ha citato la prefazione di una giornalista italiana
in un giornale e bla bla bla – lui di nuovo – “sorry but I don’t know” e
il pubblico ha applaudito. A una signora che ha esordito con
“innanzitutto grazie per i libri che hai scritto…” ha risposto
“innanzitutto grazie per essere qui oggi…”
Quando è uscito in piazza per gli autografi, io avevo il mio
“Soffocare” e una penna viola coi brillantini con una testa di struzzo
con piume viola e collettino peloso (tipo soffione) come tappo, come
cadeau per lui. Ho atteso seduta nel giardino, avevo troppo male alle
gambe per uscire e farmi la fila. Antoine è rientrato dopo quindici
minuti (ha detto che non gli andava di farmi attendere ancora, è passato
davanti, ha allungato il braccio e lui ha firmato) con la scritta “Ciao
Illary Chuck Palahniuck”, dicendomi che non sapeva se si scrivesse con
la “H” o con la “Y”.
Sono uscita, ho costeggiato la fila sottobraccio ad Antoine, con la
penna in mano, sono arrivata davanti, ho detto al traduttore “It’s a
present for Chuck”. Lui l’ha presa, gli ha bussato sulla spalla, stava
firmando, gliela ha fatta vedere e mi ha indicata. Chuck ha piegato la
testa nella mia direzione.
“Chuck it’s for you” sono solo riuscita a dirgli.
Lui mi ha fatto un sorriso grande, come i bambini “Thank’S”.
“Thank’s. Bye!” col mio pugnetto apri/chiudi tipo miss mondo e Antoine che gli diceva “Lei è Ilary!” alludendo alla firma.
Sono strana. Sono felice.
Sono le 23.55, vado a letto.
(immagine: http://www.festivaletteratura.it )
(song: where is my mind , Pixies)
un grazie grande ad Anto, my Dark Angel