lunedì 19 novembre 2018

Dieci minuti

Un mesetto fa ho assistito a un bellissimo spettacolo teatrale, a Barasso. Mi ero emozionata molto: avevo riso, avevo pianto. Tutto nel tempo di un'oretta.
Lo spettacolo si chiamava "Dieci minuti" ed è stato scritto da Valentina Maselli, con la regia di Massimo Zatta, drammaturgia di Valentina Maselli e scene Federica Della Bona.
Tempo dopo, ne avevo scritto una poesia. Eccola.




DIECI MINUTI


“Dieci minuti
avvolta in questo denso opaco silenzio,
penso. A cosa sarà poi.
Indosso un vestito stupendo
e dovrò avere (anche) un sorriso stupendo
quando tutti verranno lì. A baciarmi, abbracciarmi.

Che io voglia, oppure no.
Lui mi ha scattato una foto con la luce di Ottobre,
ed è sempre stato gentile. Mi ha detto ero bella.
Abbiamo preso casa insieme:
tutto bianco, asettico, nessun quadro, nessuno stereo per la m.u.s.i.c.a.
solo silenzio, (non dobbiamo parlare). Tutt’attorno, il silenzio.
Ho addosso questo abito bello. Molto bello, di pizzo e organza.
Bello. Bello un cazzo!
Il corpetto mi stringe il seno, la gonna
mi pizzica le gambe. Odio i tacchi e queste scarpe.
Vorrei lanciarle e correre via. Felice. Urlare.


Ma io non posso gridare.
Lui non vuole si parli. Figurarsi gridare.
Neanche durante un orgasmo.
Magari. Averlo un orgasmo.
Con lui nemmeno mi piace scopare.
Una volta mi ha messo una mano
attorno al collo, l’ha stretto forte, quasi mi ha soffocata.
Poi mi ha chiesto scusa. Gli confondevo le idee.

Adesso vorrei strapparmi questo abito di dosso,
ma sono tutti di là che ridono. Sono tutti di là che mi aspettano.
)sistemati il vestito bambina. Un bel sorriso. Vai di là.(
Mancano meno di dieci minuti.”




Lila Ria, 28 ottobre 2018, “Dieci minuti” – liberamente ispirata a “Dieci minuti” di Valentina Maselli

(le foto presenti sono di Federica Pamio - click! - , prese dalla pagina facebook di Valentina)



sabato 6 ottobre 2018

Il mio "Perfect Day" - Scuola Holden



Esattamente una settimana fa, ho partecipato al Perfect Day. Un'intensa giornata presso la Scuola Holden di Torino. Il tema era: Ossessione. 
Venerdì pomeriggio sono partita da Varese con mia sorella Federica, abbiamo portato con noi una borsa contenente pigiama, cambio vestiti, una giacchetta per la sera. In poco più di due ore abbiamo raggiunto il nostro hotel: camera molto carina, vintage moderno, un po' anni settanta e una parete/ finestra che dava dal bagno alla camera, non permettendo la giusta privacy a chi ha bisogno di assoluto isolamento per andare in bagno: io. L'uomo alla reception aveva uno tra i sorrisi più grandi che io abbia mai visto. Disponibile, affabile, un che di straniante. Entrambe abbiamo avuto la sensazione che, se solo avesse potuto, avrebbe ucciso tutti i clienti. Altroché sorrisoni. Tipica cenetta torinese in un ristorante giapponese (cinese) nei paraggi, ho fatto colpo su un anziano seduto poco fuori da un ristorante/ trattoria dove avevo prenotato per il giorno dopo, siamo rientrate in hotel abbastanza presto e, un po' per l'emozione, un po' per il materasso diverso, un po' perché sentivo le voci fuori in strada, ho avuto una bella nottata agitata.
Risveglio, vestizione, colazione. Nella sala ci sono diversi ragazzi (ma anche una coppia di signori adulti/anziani) che avrei rivisto un'oretta dopo. Tra loro ce n'è uno che ha un viso familiare. Alto. Molto alto. Molto carino. Lo guardo pensando "ma io questo lo conosco!". E quando mi sorride penso "cazzo. Ecco chi è!".  Nella sala colazioni del nostro albergo, pochi tavolini più in là, c'era uno degli insegnanti che mi ero scelta per le lezioni: Marco Missiroli. Che sì. Di persona è molto più bello che in foto. E, per quello che ho visto io, sembra essere una persona molto semplice e alla mano.
Lo ammetto: la lezione con lui l'ho scelta, non conoscendo gli scrittori in alternativa, per un motivo puramente estetico. Anzi no. Anche perché al Salone di Torino mi aveva incuriosita il suo libro, che però non avevo acquistato. Sì, noi scrittori (o, nel mio caso, pseudoscrittori) siamo sensibili, profondi e bla bla bla, ma abbiamo gli occhi. E siamo sensibili anche alla bellezza estetica umana.

Cos'era il Perfect Day?
Sei professori si alternavano, un'ora per ognuno, raccontandoci cos'è per loro "l'ossessione". 



Sapevo da luglio di quest'opportunità. Avevo chiesto circa l'accessibilità, la possibilità di mangiare o meno all'interno e tutte quelle cose che chiedi se non sei indipendente al 100% e devi trascorrere 9 ore in compagnia di sconosciuti. 
(Avete il bagno disabili? Sì. Ma poi... quando si è verificato il "momento cruciale" non mi sono fidata di me stessa e ho chiesto a una ragazza dello staff se entrava con me. E mi dava una mano nel caso in cui fossi rimasta attaccata alla tazza. Ce l'ho fatta da me! Due o tre ore dopo, stessa location, mi accompagna mia sorella e, se non ci fosse stata lei, ero ancora seduta sul water. Bah. L'imprevedibilità delle mie gambette.)

Ero agitatissima. Ma l'essere agitata per le cose a cui tengo è una mia prerogativa, che forse dovrei far curare da un bravo strizzacervelli, oppure accettarmi che sono fatta così e amen.
L'emozione era sia per l'avere la possibilità di trascorrere del tempo in una scuola prestigiosa con maestri di un certo livello e sia per l'incontro con Ludovico, un ragazzo di diciassette anni che ha frequentato il corso on line con me "Storie ai confini della realtà" tenuto da Ilaria Gaspari.
Le lezioni da me scelte erano:


 (c'è un motivo se Brunori ha tutte quelle freccette attorno: lo spiego dopo)

Io e Ludovico ci siamo incontrati proprio all'ingresso. Eravamo accanto nella coda per firmare la liberatoria ed è stato facile per lui identificarmi: ero l'unica ragazza in carrozzina.

Dato che mancavano circa quindici minuti all'inizio e la fila era ancora piuttosto lunga, abbiamo seguito il consiglio di uno dei ragazzi dello staff e ci siamo messi in coda per il caffè.

  (nella foto, presa dalla pagina Instagram della Holden siamo in alto, sulla destra)



La lezione iniziale era tenuta da uno dei miei scrittori preferiti in assoluto: Niccolò Ammaniti 
(che anni fa ho visto al Premio Chiara Varese - lo scrissi qui).


Eravamo stati avvisati del fatto che Ammaniti sarebbe stato intervistato da un altro scrittore: Marco Missiroli, che io non conoscevo/-co come autore.
Di Ammaniti mi ha sempre attratta quel velo di lieve follia che trapela sempre dalle sue pagine.
La domanda d'esordio è stata: "quanto vale la tua ossessione?". E lui ha raccontato della sua difficoltà nel dormire. Che si sveglia ogni due ore, prende tre goccine, dorme altre due ore, altre tre goccine e passa tutta la notte così. Fino ad arrivare alla dose di gocce che una persona prende normalmente per dormire tutta la notte.
Hanno fatto molti riferimenti a "Il miracolo" la prima serie di Ammaniti come regista che sarà passata (o è già stata trasmessa?) su Sky. Alla sua maniacalità perché le cose vengano fatte in un determinato modo, al suo riscrivere una pagina (di libro) un sacco di volte e poi, essersi reso conto che, da regista, non puoi decidere tu ogni cosa. Non puoi pretendere che gli attori entrino nella tua visione e fare esattamente la stessa cosa. E lui diventa pazzo. Ha detto di aver fatto una scena bellissima, con un cinese, (non ricordo esattamente cosa), di essere andato al montaggio e aver realizzato che, quella scena, non c'entrava nulla col resto. Non dava la suspance che lui avrebbe voluto. Allora ha gettato tutto e rifatto completamente, in modo che ci fosse un legame di continuità tra le due scene. 
Quando Missiroli gli ha chiesto "cosa raccontano i suoi romanzi", ha detto che scrive "di persone normali che si ritrovano in situazioni assurde." (come per esempio in "Fango")

 (Nella foto: Missiroli e Ammaniti)

Nello specifico, le sue ossessioni sono:
- pesci (temperatura dell'acqua dell'acquario, tipologie di pesci, ...)

- stereo (come fare a sentire la musica nel migliore dei modi)
- raccontare storie.
Ha spiegato che c'è differenza tra passione e ossessione: le passioni sono cose per cui ti confronti con gli altri; le ossessioni sono solo tue, non condivisibili.

Ammaniti è talmente ossessionato dal raccontare storie che può passare anche due mesi su una pagina, modificandone le parole (grazie Niccolò! Mi sento meno sola). Poi, a un certo punto, come per magia, tutto arriva di botto. Anche le parole giuste.
"Anna" è probabilmente il suo libro "più alto" come tipo di scrittura. Questa scrittura che è una frustrazione giornaliera. Ogni volta devi superarti. A ogni romanzo devi scrivere in modo "più difficile".


I finali dei suoi romanzi sono sempre aperti. Non ama i lieti fini, ma preferisce che ognuno trovi il finale che vuole.

Scherzando con Marco Missiroli, sempre a proposito delle ossessioni non condivisibili, ha detto "quanta gente va ai gardinetti con i cani? I pesci non puoi portarteli dietro."

Tra le frasi, dei suoi libri più belle, Missiroli ha ricordato "Sembrava che al mondo avessero tagliato i capelli" - "Io non ho paura".



In chiusura della lezione con Ammaniti, Missiroli, che sarebbe stato la nostra prossima lezione, ha detto di essere ossessionato dal "twist" ovvero dalla rivelazione. Dal rilancio della storia.

Terminata la lezione, Io e Ludovico siamo andati, da bravi, a firmare per la privacy, poi alla ricerca di una toilette, e siamo arrivati alla lezione con Missiroli con qualche minuto di ritardo. 
Mentre varcavamo la porta ho sentito che diceva "...sette saltelli."




(Marco Missiroli)

Ha poi detto che Fenoglio s'incespicava sempre alla terza, quarta parola. E per questo motivo (oltre al fatto che non avesse avuto riconoscimenti, aveva trovato con difficoltà un editore) si sentiva inadatto a fare lo scrittore. Ma Missiroli ha asserito che "più il mondo ti dice che non funzioni, più stai già scrivendo una storia."
Aveva una sua propria struttura lessicale. Incespicava.
Venne rifiutato sempre. "Da quella capra di Vittorini".

Secondo Missiroli il suo capolavoro è stato "La paga del sabato", anche se viene, perlopiù, ricordato per altro.

L'incespicamento era anche emotivo: con la madre parla e non parla / parla e non parla.
Il senso delle quattro parole trova un senso in questa storia. Quattro parole, in quattro blocchi.

Un'altra artista di cui ha parlato è Flannery O'Connor, nata a Savanna, il paese dei pazzi (quello della panchina di Forrest Gump).
A causa del lupus, malattia ereditata dal padre, perse l'uso delle gambe.

All'età di quindici anni, lei che non riusciva a  camminare, ha insegnato a un pollo a camminare al contrario.



Il contrappasso di Flannery O' Connor è il suo contrappasso.
Andava contro Dio attraverso le sue passioni.

"Il cielo è dei violenti" è forse il suo libro più rappresentativo.

Emmanuel Carrère era invece ossessionato dalle virgole. 
Lui dice tutto quello che deve dire nelle prime dieci righe.
Ogni virgola che mette è punteggiatura emotiva.
Lavorava sempre a due libri in contemporanea. Se si bloccava l'ispirazione per uno, scriveva l'altro. 
Il punto è il suicidio che non gli è riuscito.
La virgola è la rinascita. La virgola è il segnale.

Missiroli ci ha poi fatto vedere un video in cui il tennista Federer, prima di battere il top spin, gira tutti i tappi delle bottiglie nello stesso modo in cui colpirà la palla.

Dino Buzzati, tutti i giorni alle quindici e trenta comprava una camelia alla moglie. Questa rappresentava il fermarsi, dove ci si deve fermare. (mi sembra di ricordare che l'avesse ripetutamente tradita: era il suo modo di chiederle perdono.)
Scrisse poi "L'amore ritrovato".
Oltre che scrittore, Buzzati dipingeva: la pittura era uno sfogo emotivo, per tornare a scrivere.
Negli animali trovava l'irrequietezza che aveva nella vita. Quando morì nel gennaio del 1972 (di tumore al pancreas, come il padre) l'elefante emise un barrito gigante.


Prima di terminare la lezione, Missiroli ci dice che queste persone, con le loro ossessioni, lo fanno sentire "meno sbagliato" / "meno strano" rispetto alla sua ossessione dei sette salti.


La mia terza lezione è stata con lo scrittore Paolo Di Paolo. Paolo è il nome. Di Paolo è il cognome.
Non oso immaginare a quanti ragazzani abbiano fatto ironia sulla fantasia dei genitori.


Dice che la nostra scrittura si muove intorno a tre o quattro ossessioni.

Una delle sue ossessioni è il tempo.


(nella foto Paolo di Paolo. Sullo sfondo i Peanuts)

Prendendo come esempio una vignetta dei Peanuts, che ha per protagonisti Lucy e Charlie Brown, ci fa capire la differenza delle due parole "un giorno", detto da lei e detto da lui.

 
Ammetto: non si vede nulla dalla mia foto. Ma lei gli dice "un giorno dovrai abbandonare quella coperta, dovrai essere responsabile, dovrai crescere..." come se intendesse "a breve. Svegliati! Reagisci". E il parlare di lei dura tre vignette. Lui invece rimane impassibile e nella quarta dice serafico "un giorno..." come a dire "sì vabbè, ma non ora. In un tempo molto lontano... chissà quando... non mi stressare adesso".

In Paperopoli invece il tempo è fisso: Paperone è sempre anziano, Paperino è sempre giovane, Qui, Quo e Qua sono sempre dei ragazzini. A Paperopoli è sempre una bella giornata.
C'è un tempo fisso, immobile in cui accade qualcosa.

Il tempo è un'ossessione.

Non è solo uno spazio della scrittura, ma può diventare anche il fulcro di un racconto.

Geppetto passa anni nella pancia del pescecane. E a noi sembra pochissimo tempo.

Nell'incipit della versione originale di Peter Pan, si dice "...tutti i bambini crescono, tranne uno" - Barrie. 



Marcel Proust con "La recherce" ha consacrato al tempo un romanzo.
"A lungo sono andato a letto presto la sera... " (a pagina 12)

Paolo Di Paolo ci chiede "Che cosa ne facciamo del tempo, se il tempo di cui parliamo è quello passato?"
Dobbiamo cercare di raccontare il presente. Non dare la sensazione di un tempo passato.

"La signora Dalloway" racconta di una mattinata di Giugno. Un istante. Quotidiano. 
"Mrs Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei".
(Questo incipit mi mette i brividi ogni volta: è tra i miei romanzi preferiti).

Viene fotografato un istante che deposita tutte le esperienze qui e ora.

La fantasia può servire o no.
L'importante per uno scrittore è l'immaginazione.
Senza immaginazione non sei uno scrittore.
Dobbiamo inventare la realtà. Immaginando. Ricostruendo.

Ho preso poi due appunti molto brevi - la lezione di Di Paolo era durata più delle altre. Avevo una fame che non connettevo più - che copio qui sotto. Ma a cui, ora, trascorsa una settimana, non so dare spiegazioni.

Sempre a esempio di scritture con ossessione "tempo" c'erano:

Tabucchi: il fruscio del palloncino.
Nicole Krauss: la selva oscura. La sensazione di essere qui, ma anche altrove.

Ecco. Qui c'è stato l'intermezzo pausa pranzo. Ludovico, gentile cavaliere d'altri tempi, mi attendeva impaziente sulla porta del General Store. C'erano tre aule per le lezioni. Io ho avuto la fortuna di assistere, a cinque lezioni su sei, nell'aula più capiente.
Seguendo le mie indicazioni, siamo passati attraverso i mercatini (che la sera prima non c'erano) e in breve tempo abbiamo raggiunto la trattoria, dove c'era fuori il vecchietto del "buongiorno bella biondina, sei tornata?"
"glielo avevo detto ieri sera, che avevo prenotato per me e un amico"
"vuoi una mano?"
Sarebbe stato un sì. Un gniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, nel senso "'somma... non so se lei sia abbastanzaforte". Ma un ragazzo che passava di lì, con due cani al guinzaglio, gli occhiali da sole, la barba e dei tatuaggi su entrambe le braccia è intervenuto "se mi tiene lei i cani, l'aiuto io".

E così sono entrata in agilità. In una trattoria colma di tavolini piccoli, in legno. Colma di persone affamate. Con una lista di prenotazioni alta un centimetro.
La gentile cameriera. quando le ho detto che avevamo a disposizione un tempo limitato per mangiare, ci ha gentilmente fatti passare avanti agli altri. E il suo collega ha terminato con uno strano caffè. Col limone. Abbiamo salutato il mio arzillo spasimante e siamo tornati alla Holden.



Matteo Caccia è stato una bella scoperta. Ludovico mi ha accompagnata in un'altra aula. Mi sono recata in prima fila, ho chiesto a una signora se potevo mettermi accanto a lei e questa ha spostato la sua maxi borsa tigrata.
"Sei da sola?"
"Sì, a fare lezione. Ma mi ha accompagnata qui un amico,ex compagno di corso. Un corso online fatto con la Holden. A Torino mi ha accompagnata mia sorella, che adesso è in giro"
"Ti ho vista bella agile eh. Anche prima. Sei bella dinamica."
"Più o meno. E dove non arrivo da sola, mi faccio aiutare"

"ma chi è questo?"
"Si chiama Matteo Caccia"
"Non lo conosco"
"Nemmeno io, sa. Mi è stato consigliato" [da Alessandro Morbidelli]



(ero in prima fila, lo avevo troppo vicino, non mi andava di fargli foto. Questa l'ho trovata nel web e, secondo me, è quella che rappresenta al meglio il personaggio che ho conosciuto sabato scorso) 

Secondo Matteo Caccia l'ossessione è una patologia.
Sullo schermo alle sue spalle è apparsa una pagina di annunci di Subito.it 
Credevo fosse un errore. Credevo lui stesse facendosi i fatti suoi, prima di collegare il pc allo schermo e gli fosse rimasta memorizzata quella pagina. Invece no.

L'ossessione di Matteo Caccia è il mondo degli annunci dell'usato.

L'unica cosa sua che ho appuntato è stata "se racconti una storia interessante e l'attacchi a un oggetto, riesci a vendere quell'oggetto".

Quella fatta con lui, è stata la lezione più divertente della giornata. Esilerante. In tono piuttosto serioso Matteo Caccia ci mostrava annunci al limite dell'assurdo. Ci ha raccontato di cosa si è acquistato, di cosa ha rivenduto e della storia legata a una bottiglia di vetro decorata a mano e di una sua ex ragazza, che raccontò per radio. 
Ho passato quasi cinquanta minuti ridendo, Un ottimo narratore! Coinvolgente. Appassionante. Faceva un po' tenerezza. Sembrava stare a metà strada tra i pazzi e gli originali. Davvero tanta fantasia. Complimenti a Matteo! - e alla signora Paola, mia vicina di sedia, che per poco, dal troppo ridere, ci lasciava le penne.
(Sono ironica.)





Dopo Matteo Caccia, è stata, per me,  l'ora di Andrea Marcolongo.

Di lei sapevo solo che era stata una ghost writer e ho scelto di partecipare alla sua lezione per solidarietà femminile.
Di sei lezioni, solo una era tenuta da una donna. Tra l'altro, con un bellissimo nome.
E boh. Forse mi aspettavo fosse ossessionata dalle storie degli altri, per questo le raccontava.
Invece no. 
Andrea è ossessionata dall'etimologia delle parole.
Non ho fatto il classico. Non potevo partecipare in modo attivo alla discussione.
Tra l'altro, l'insegnante, aveva la lavagna rivolta verso la parte di platea che stava alla sua sinistra (se si sedeva a gambe incrociate sulla cattedra). Quindi noi, che stavamo dall'altro lato, non potevamo vedere leparole che lei si apprestava a scrivere. 

Questa parziale attenzione verso gli "studenti" mi ha un po' infastidita. Avrei potuto spostarmi dall'altro lato, certo. Ma non ero l'unica seduta dalla mia parte. Le sarebbe bastato girare la lavagna in modo che coprisse lo schermo. Tutti avremmo visto tutto.

 (pagina fb della Scuola Holden: foto scattata il 29 settembre da Federica Fumagalli)

Alcune parole sono riuscita ad annotarle:

*Felicità: da Felix= fertilità. Un processo che si ripete.
Sei felice?= Cosa stai mettendo a frutto?

*Fortuna= forse, chissà

*Amore= a/mors. Non voglio che tu muoia

Le prime due le avevo annotate. La terza mi è rimasta in mente. Ho pensato che fosse bellissima.

Credo fosse trascorso un quarto d'ora dall'inizio della lezione, quando ho iniziato a chiudere le orecchie verso i discorsi della professoressa di greco e ad affinare l'udito verso la musica che proveniva da un'altra aula.

Mi sono maledetta!

Avevo scelto la lezione sbagliata. Non ero in grado di seguire una pesante lezione sulla lingua italiana. Arrivavo da una nottata mezza insonne. Erano le sedici passate, avevo appena avuto una lezione divertente e adesso? no. Una lezione tipo quelle di scuola, non  riuscivo a reggerla.
Probabilmente non possiedo né l'intelligenza, né l'attenzione necessaria per apprezzare quel tipo di lezione.


Avrei dovuto seguire il mio istinto: scegliere Brunori, visto mesi fa a Varese. Forse mi sarebbe interessato di più.
C'erano delle persone, nell'aula, che facevano a gara a chi fosse la più istruita. E io no. Io, di sicuro, non lo ero. Non c'entravo niente con quel mondo.

Per staccare un attimo, prima della lezione finale, sono andata a farmi fare un caffè. Il ragazzo alla macchinetta è diventato, per quei cinque minuti, il migliore amico.


 (pagina fb della Scuola Holden: foto scattata il 29 settembre da Federica Fumagalli)


Ed eccoci qua. Quasi alla fine di questo lunghissimo report. Lezione con il preside Baricco.


Non sono una sua fan. Amai, tantissimi anni fa, il suo "Novecento". Poi lessi "Seta", "Oceano mare" - ci scrissi anche una poesia, ma poi venni delusa da "Questa storia" (non riuscii ad andare oltre le prime 30/40 pagine) e non lessi più nulla di lui.

Un paio d'anni fa rimasi incollata alla tv durante il rave letterario in cui Baricco e Bianconi dei Baustelle - che ho rivisto la sera del 29 settembre alle OGR di Torino, ma scriverò un altro post - hanno riletto e musicato "Furore" di Steinbeck. Sono rimasta abbagliata. Incantata, di fronte a tanta meraviglia. 
E, questa volta, è stata un'esperienza altrettanto emozionante.

Baricco ti sa prendere. Ti trovi di fronte a un estraneo, ma si relaziona con te (con il pubblico) in modo semplice, efficace.



L'ossessione di cui ci ha parlato riguardava Hokusai.
Vissuto tra il 1700 e il 1800, veniva da una famiglia molto povera e umile. Traslocò 93 volte.

Baricco ha detto che riportiamo nella nostra lingua pezzi di mondo.


Hokusai sapeva disegnare su qualsiasi tipo di dimensione. Era considerato un pazzo. 
C'era una sproporzione tra il modo in cui lavorava e quello che risultava dalle sue opere.
Sapeva disegnare due uccelli in volo su un chicco di grano.

Sulla porta del suo laboratorio c'era scritto "il maestro non disegna ventagli".


Per i giapponesi:
1- l'ombreggiatura non esiste

2- non usano la prospettiva.

Quando, durante un evento, Baricco si trovò di fronte a un grande giapponese, chiese (fingendo stupidità) perché i giapponesi non avevano quelle due caratteristiche nelle loro opere. Il suo interlocutore, quasi stizzito, disse:

2- La prospettiva: è limitante.
La parte più vicina si guarda dall'alto.
Quella in mezzo si guarda in asse.
Quella più lontana si guarda dal basso

1-l'ombra: da un quadro bisogna togliere ogni impurità. L'ombra sporca la terra.

I giapponesi hanno l'ossessione per l'impurità, la purezza.

Una delle ossessioni di Hokusai era il Monte Fuji.


C'è un'opera che si chiama 34 vedute / 36 vedute / 100 vedute del monte Fuji. E noi europei, la prima cosa che facciamo, è cercare all'interno di esse dov'è il monte Fuji. Quando invece è il resto dell'opera che dovremmo guardare.

In alcune immagini (stampate su un libro aperto) c'è uno spazio bianco, di circa un centimetro, tra le due pagine, che divide l'immagine a metà. Fa fare un esercizio al cervello. di unire i due pezzi. Con un "CLACK!"




(Non so da quanto tempo fosse, che non dedicavo così tante ore a un report. Ma non sono riuscita a scriverlo la scorsa domenica. Avevo un sacco di appunti. Volevo riportarli qui, unire le foto, mischairci insieme le mie emozioni. Le mie risate, i miei caffè, le gambe che non mi reggevano. Ormai, negli anni, ho imparato a dosare le energie. Usarle solo per quello che sono obbligata a fare o solo per le cose che miritano.
Questa, per me, è stata un'esperienza significativa: un reportage, era dovuto).


Un grazie va a mia sorella Fedeica, che si presta sempre a questi miei piccoli deliri.
Un grazie al giovane Ludovico, che è stato un cavaliere d'altri tempi. Gentile e disponibile.
E poi grazie allo staff della Scuola Holden, a tutti tutti i ragazzi che mi hanno dato una mano, alla ragazza che mi ha accompagnata in bagno, e agli insegnanti. A quello che ci hanno saputo trasferire.

Ah. Per me, la scrittura è una passione.
Un'ossessione è la perfezione. Che ritrovo negli altri. 


(Ludovico e io)