CICATRICI
-Cristo santo Viola! Che cazzo sono questi tagli?
Matteo era un feticista dei piedi. La prima volta che c’eravamo incontrati era estate. Indossavo i miei sandali bluenotte senza tacco, e avevo le unghie smaltate di rosso. Io amo il rosso. Eravamo a fare un aperitivo in quel posto che d’estate mette tutti i tavolini all’esterno, e tra un cocktail e l’altro ti passano a fianco i tipi che vanno a farsi la lampada, i bancari impettiti, le sciure che fanno acquisti alle Ramonda.
I suoi occhi verdi dal taglio felino si erano posati su un mio piede.
-Hai dei bellissimi piedi, sai? Le dita lunghe, la pianta stretta
-Ho dei piedi qualunque. Sono affusolati perché sono magra, touchez
-Ti dico sono belli. Fidati, io me ne intendo.
Non avevo dato peso più di tanto a quel suo vizio, e una settimana dopo quell’incontro uscivamo insieme. Quello era il nostro terzo incontro, mi aveva invitata a casa sua. Abitava con sua madre e suo fratello più piccolo di tre anni, realizzato, sveglio, bellissimo. Anche Matteo era bello, ma cambiava lavoro ogni due mesi, a causa del suo carattere troppo impulsivo. Mandava affanculo, si ritrovava su di una strada e si lamentava. Era incazzoso. Spesso.
In quella casa c’erano tre stanze da letto. Quella di sua madre. La sua. Quella del fratello.
La sua, in realtà era per gli ospiti. Lui preferiva dormire abbracciato alla madre. Soffriva del complesso di Edipo. Mi diceva: “le voglio bene, che problema c’è?”
“Io non dormo abbracciata a mio padre”
“Io non so manco dove cazzo è mio padre e dormo abbracciato a mia madre, e allora?”
Allora avevo deciso di far morire lì il discorso. Mi mandava fuori di senno quando si metteva sulle difensive.
Ora eravamo nel letto di sua madre. Aveva insistito per leccarmi i piedi. L’idea mi disgustava (passami la lingua dappertutto, dove vuoi, ma lascia stare i piedi), ma parlava dei miei piedi come fossero cose sublimi, divinità scese su ‘sta terra per salvarci e avevo ceduto.
Aveva iniziato dal tallone, passando la lingua sotto la pianta. Io mi ero ritratta, ridendo. Soffrivo il solletico.
-Ehi bimba, dai. Fai la seria. Non rovinare tutto
-Okey, okey, dai. Ci provo
Aveva lasciato scorrere la lingua su tutto il solco che si avevo in mezzo alla pianta del piede, ed era passato alle dita. Se l’era prese in bocca, una per una, partendo dalle più piccole. Quando si prese in bocca il mio alluce* inarcai la schiena, iniziava a piacermi.
Poi passò all’interno della caviglia e si accorse avevo un taglio. Prese l’altra caviglia in mano, ne avevo uno anche lì.
-Cazzo sono Viola?
-Cosa vuol dire “cazzo sono”? Te? Cosa credi siano? Dei tagli, no?
-Porca puttana Viola! Sapevo eri strana, ma a te manca proprio qualche rotella! Incidersi i tendini d’achille! Roba da pazzi!
Gli occhi mi si riempirono di lacrime che non lasciai cadere. No, non dovevo farmi vedere debole da un perdente come lui. La schiena era un fiume percorso da brividi gelidi. Cosa voleva saperne lui del mio passato? Cosa credeva di sapere? Cosa?
Presi i miei vestiti, li infilai velocemente. Presi i sandali con una mano, la borsetta con l’altra.
Lo guardai. Aveva gli occhi sbarrati, una mano a spettinare i capelli.
-Se c’è un pazzo tra noi due, quello sei tu.
Aprii la porta e scalza andai all’ascensore…
(chanson: Fasttrack- Radiohead)
*grazie! (a Zop...)