domenica 11 dicembre 2005

TOO SOON FOR BEING AN ANGEL


TOO MUCH SOON FOR BEING AN ANGEL
17/06/2005 - Autore: lunatica2
“Come sta mia madre?” fu la prima cosa che domandò quando riprese coscienza. Aveva l’ago di una flebo infilato nel braccio sinistro. Sentiva un freddo atroce lungo tutto il corpo splendidamente abbronzato.
Avrebbe voluto le asciugassero i capelli e le cambiassero il costume appiccicaticcio. Avrebbe voluto una coperta di lana anziché il telo verde con stampata la scritta bianca “ospedale di Savona”.
“Come sarebbe a dire, come sta mia madre? Tu come ti senti piccola?” le chiese l’infermiera.
Lei cercò di alzarsi “Sto bene: ho solo freddo. Dica a mia madre…”.
L’infermiera la rimise giù dolcemente: ”Smettila di preoccuparti”
“Chi mi ha tirata fuori?”
“Un ragazzo. Poco più grande di te”
Arrivò sua madre. Sembrava tranquilla.
“Cosa mi hai combinato?” una lacrima era sfuggita al suo controllo rigandole il viso.
“Scusami. Non volevo…”
Era successo quel pomeriggio. Era il suo ultimo giorno di vacanza al mare. Poi avrebbe trascorso una settimana a casa, prima di cominciare la quarta IGEA.
Sono viva. Ancora. (pensò al risveglio)
Era una ragazza piuttosto inquieta, apparentemente serena.
Vedeva come la guardavano quando col suo metro e settantacinque percorreva la passerella per raggiungere il lettino.
Gambe magrissime. Un bel fondoschiena terminava la sinuosa schiena che disegnava una S eccessivamente accentuata.
S come sexy. S come stronza. S come sola.
Aveva legato solo con un ragazzo quell’estate, uno dei due bagnini. Piuttosto bruttino, non il tipico macho, non certamente il suo tipo. Aveva vent’otto anni e spesso, la sera, quando la trovava in riva al mare che fingeva di dormire, le chiedeva a chi stesse pensando.

“Nessuno”
“Una bella ragazza come te non ha il moroso?” “Non sono bella”
Le piacevano le sue attenzioni. La facevano sorridere i suoi scherni circa il fatto che facesse i compiti, per recuperare il debito di matematica, in spiaggia al tavolo del barattino. Con sottofondo musicale.
Aveva notato un ragazzo della spiaggia libera. Uno col quale talvolta incrociava lo sguardo. Uno al quale era troppo timida per rivolgere un saluto.
Si sentiva sola.
Sola interiormente.
Nella sua pancia.
Desiderava immensamente urlare qualcosa: ma poi…cosa?
Invidiava le spensierate compagnie che scorgeva dal gigantesco balcone del suo appartamento. Un mese era infinito senza nessuno.
E quel giorno era particolarmente giù di morale. La spaventava l’idea di tornare alla noiosa quotidianità.
Disse a sua madre che voleva riposare. Le sue quattro coinquiline andarono in spiaggia. Lei chiuse la porta. Prese due pastiglie di xx prescrittole per i repentini sbalzi emotivi. Attese mezz’ora.
Si vestì e andò nel bar sottostante. Erano le sedici, ma voleva un vodka lemon, forte. Fresco. Il caldo era davvero atroce.
Aspettò le scese.
Sentì il bruciore in gola. Sentì la testa finalmente leggera.
Rimase un attimo seduta, finché realizzò di poter percorrere i pochi metri che la separavano dalla spiaggia senza cadere a terra.
Il mare era piuttosto mosso.
Sua madre e le sue tre sorelle uscirono, le vide allontanarsi per farsi una doccia. Lei entrò, voleva fare l’ultimo bagno.
Sentiva le gambe che faticavano a sostenerla. Si accorse che in acqua c’erano solo quattro persone. Voleva godersela tutta quell’ultima giornata.
Stava bene.
Leggera.
Senza pensieri.
Fece due bracciate. Altre due. Andò più al largo.
A un tratto un’onda la colse alla sprovvista. Si sentì mancare.
Si rivolse a una ragazza bionda a qualche metro da lei “aiutami ti prego!”. Quella la guardava aggrottando le sopracciglia.. “aiutami cazzo!” Forse non capiva. “aiutami, vado sotto!”.
E la testa iniziò a girare forte, fortissimo, vorticosamente.
Rivide come in un fotogramma lei e sua sorella da piccole.
Rivide i sui genitori di circa quindici anni prima.
Le sembrò di vedere qualcosa di chiaro. Un po’ offuscato.
Un senso di pace la invase. Pensò “Dio se mi fai vivere, ti giuro che cambio”.
Si sentì sempre più debole,
L’acqua le entrò nella bocca, nel naso, nella testa, sommergendola. Piano. Piano. Nient’altro.
Ancora oggi, sette anni dopo, non è riuscita a ringraziare colui che l’aveva salvata.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Benvenuta nel mondo dei folli bloggers che appestano l'Italia.

Ne entri instabile, ne esci ancora più deviata.

Auguri.

Ah, grazie per il commento che mi hai lasciato. Torna quando vuoi.

-Calista-

Anonimo ha detto...

#3
22:08, 13 dicembre, 2005

io l'avevo già letta;)


ti aspettavo.

S.

Anonimo ha detto...

15:14, 15 dicembre, 2005

ma ciaooooooooooooo cuginetta! ma che bel racconto tristino ma è forte! mi ha fatto emozionare davvero!!!!
brava! ;) bacini grani :*

Anonimo ha detto...

Francesco ha detto...

Salva...per fortuna, se no il mondo sarebbe stato più povero di grazia.

16 aprile 2008 19:46