"Sentivo un funerale nella mente
E andava gente in lutto
Avanti e indietro, sempre, finché parve
venir meno ogni senso"
E andava gente in lutto
Avanti e indietro, sempre, finché parve
venir meno ogni senso"
- Emily Dickinson -
Già il titolo mi aveva catturata "Suicide
Tuesday" e quello che significava "espressione inglese che
indica lo stato di prostrazione a cui si arriva dopo un fine settimana
all'insegna di droghe e alcol. L'euforia del sabato va scemando, domenica passa
nel tentativo di smaltire i postumi, lunedì arriva il down e martedì si è così
depressi che ci si lascerebbe morire".
E il romanzo, parla di tre esistenze, con i loro effetti collaterali, che si ritrovano proprio di martedì.
Ho intitolato il mio commento con la poesia di Emily Dickinson che l'autore Francesco Leto cita a pagina 185 perché, questa, è solo una delle cose che io e il suo libro, abbiamo in comune.
Un'altra è che l'ho iniziato il 29 Marzo 2013, Venerdì santo. E il suo romanzo inizia parlando di ciò che accade "un" Venerdì Santo.
E già dall'inizio, mi è piaciuto!Il come lui abbia raccontato la processione, mi ha riportata all'infanzia, a quando (ancora) frequentavo la chiesa. Sono riuscita a vedere "Le signore (che) si incamminano verso le croci. Qualcuna - che sembra aver vissuto più di una volta" (p. 13). Oppure quella Madonna nei cui "occhi che non possono sbattere ciglia, puoi leggere tutto il dolore di una madre" (p. 15). E che, poi, "Le lacrime non è vero che possono esaurire il mare. Finiscono. Si esauriscono come qualsiasi altra cosa..." (p. 15). E quest'ultima frase mi è piaciuta particolarmente. Perchè è VERO! Che arriva un momento in cui provi un dolore talmente grande (io penso alla perdita dei miei nonni, avuta in età "adulta" - 30/32 anni) che non riesci più a piangere. Il dolore ti corrode dentro, ma senza più la forza di uscire dagli occhi.
Un'altra cosa che mi ha fatto piacere molto questo libro, è il punto di vista di Matteo, il fotografo. Il ragazzo (ventisettenne, che "parla" via e-mail col padre morto). Il fatto che lui (p. 35) entri in "sintonia" perfetta con Lara, la sua macchina fotografica. E ci dice che "noi usiamo il diaframma per impostare la voce o cantare senza affaticare troppo la gola, mentre Lara lo usa per regolare la luce." E, sempre a proposito della luce, dice che lui usa solo quella naturale perché non vuole "dare al mondo un colore o un riflesso differente da quello che vedo". Questo pensiero ti trasmette un senso di purezza, di qualcosa che si vuole proteggere, come fosse una cosa delicata, da voler tener lontana dalla modernità, da questo "tutto" che abbiamo intorno, che ci vuole tutti "perfetti" per forza, perché se no, sei out.
Mi è piaciuto che l'autore abbia parlato intimamente di Sylvia Plath (io lessi "La campana di vetro", ma non ho ancora terminato "I diari"!), regalandoci - probabilmente - aneddoti che non conoscevamo.
Mi è piaciuto il romanticismo dei suoi personaggi maschili. In particolare la sua visione di Karl Marx "un giovane dalla mascolinità ancora acerba. La barba incolta per sembrare più grande ancora non gli copre la faccia e spunta invece in tanti piccoli aghi sottili. I loro corpi sono cresciuti premendo contro i vestiti pesanti dell'inverno... ...Dopo una nuotata, si stendono vicini sull'erba e si toccano con le teste bagnate in un nodo fatto dai loro stessi capelli.
E il romanzo, parla di tre esistenze, con i loro effetti collaterali, che si ritrovano proprio di martedì.
Ho intitolato il mio commento con la poesia di Emily Dickinson che l'autore Francesco Leto cita a pagina 185 perché, questa, è solo una delle cose che io e il suo libro, abbiamo in comune.
Un'altra è che l'ho iniziato il 29 Marzo 2013, Venerdì santo. E il suo romanzo inizia parlando di ciò che accade "un" Venerdì Santo.
E già dall'inizio, mi è piaciuto!Il come lui abbia raccontato la processione, mi ha riportata all'infanzia, a quando (ancora) frequentavo la chiesa. Sono riuscita a vedere "Le signore (che) si incamminano verso le croci. Qualcuna - che sembra aver vissuto più di una volta" (p. 13). Oppure quella Madonna nei cui "occhi che non possono sbattere ciglia, puoi leggere tutto il dolore di una madre" (p. 15). E che, poi, "Le lacrime non è vero che possono esaurire il mare. Finiscono. Si esauriscono come qualsiasi altra cosa..." (p. 15). E quest'ultima frase mi è piaciuta particolarmente. Perchè è VERO! Che arriva un momento in cui provi un dolore talmente grande (io penso alla perdita dei miei nonni, avuta in età "adulta" - 30/32 anni) che non riesci più a piangere. Il dolore ti corrode dentro, ma senza più la forza di uscire dagli occhi.
Un'altra cosa che mi ha fatto piacere molto questo libro, è il punto di vista di Matteo, il fotografo. Il ragazzo (ventisettenne, che "parla" via e-mail col padre morto). Il fatto che lui (p. 35) entri in "sintonia" perfetta con Lara, la sua macchina fotografica. E ci dice che "noi usiamo il diaframma per impostare la voce o cantare senza affaticare troppo la gola, mentre Lara lo usa per regolare la luce." E, sempre a proposito della luce, dice che lui usa solo quella naturale perché non vuole "dare al mondo un colore o un riflesso differente da quello che vedo". Questo pensiero ti trasmette un senso di purezza, di qualcosa che si vuole proteggere, come fosse una cosa delicata, da voler tener lontana dalla modernità, da questo "tutto" che abbiamo intorno, che ci vuole tutti "perfetti" per forza, perché se no, sei out.
Mi è piaciuto che l'autore abbia parlato intimamente di Sylvia Plath (io lessi "La campana di vetro", ma non ho ancora terminato "I diari"!), regalandoci - probabilmente - aneddoti che non conoscevamo.
Mi è piaciuto il romanticismo dei suoi personaggi maschili. In particolare la sua visione di Karl Marx "un giovane dalla mascolinità ancora acerba. La barba incolta per sembrare più grande ancora non gli copre la faccia e spunta invece in tanti piccoli aghi sottili. I loro corpi sono cresciuti premendo contro i vestiti pesanti dell'inverno... ...Dopo una nuotata, si stendono vicini sull'erba e si toccano con le teste bagnate in un nodo fatto dai loro stessi capelli.
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Lei rimane stesa in una paralisi d'amore e paura"
L'ho trovato un libro carico di speranza.
L'ho trovato un libro carico di speranza.
Sia per Sergio, il giovane padre, che si fa ritrarre sorridente,
per lasciare un bel ricordo di sè alla figlia (prima che il tumore lo
trasformi), sia per Giulia, perennemente in bilico sul cosa fare del suo
futuro, che (forse) ripensando a Fede decide finalmente di agire più di pancia,
e meno di testa.
La frase che più mi è piaciuta, in tutto il libro è "qualunque cosa fai hai sempre bisogno di essere ispirato. L'ispirazione è come uno spiffero d'aria gelata che ti sale lungo la schiena; ti fa drizzare. Per me bisogna sentire freddo per farsi venire delle buone idee" (p. 37).
E io, concordo! In pieno.
(i miei commentini, si trovano QUI- - - -> http://www.anobii.com/lilaria/books )
La frase che più mi è piaciuta, in tutto il libro è "qualunque cosa fai hai sempre bisogno di essere ispirato. L'ispirazione è come uno spiffero d'aria gelata che ti sale lungo la schiena; ti fa drizzare. Per me bisogna sentire freddo per farsi venire delle buone idee" (p. 37).
E io, concordo! In pieno.
(i miei commentini, si trovano QUI- - - -> http://www.anobii.com/lilaria/books )
1 commento:
15:25
Francesco Leto
grazie per la recensione sul tuo blog, è davvero attenta e con precisi riferimenti al testo.
Mi fa piacere ti sia piaciuto il libro.
Molte grazie
F.
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