sabato 22 luglio 2017

Non volevo morire vergine - Barbara Garlaschelli, letta da me


"Il dolore risulta essere un posto che nessuno conosce finché non ci arriva" Joan Didion - L'anno del pensiero magico

Ho letto Barbara Garlaschelli 3 mesi fa, ma ne scrivo solo ora.
Avevo paura a leggere questo libro. Avevo letto qualche articolo che la riguardava in rete ed ero decisa a non leggerlo. [so di aver ripetuto il termine leggere tre volte in una frase, ma tant'è... ]
La storia di una ragazzina che, a poco più di quindici anni, fa un tuffo in acqua e si ritrova tetraplegica.
La sua vita è cambiata a quindici anni, come la mia a quattordici (quando mi hanno diagnosticato una malattia degenerativa che, dopo 20 anni dalla diagnosi, mi accumuna a lei per l'utilizzo della carrozzina a rotelle. Oltre che per i dolori. I dolori lancinanti che, a volte, ti fanno perdere la testa).

il 4 maggio scrissi su fb all'autrice "Ciao Barbara 😊 grazie per quello che hai scritto...
Ti avevo detto (un mesetto fa) che non sapevo se sarei mai riuscita a leggerti. Perché - per le recensioni che avevo letto - la tua storia mi sembrava avesse molte similitudini con la mia.
E invece no.
Ti hai avuto un incidente a 15 anni/ io ho avuto la diagnosi di "malattia rara" a 14 anni.
Tu sei stata da subito in sedia a rotelle/ io la utilizzo da qualche anno, all'occorrenza (adesso due giorni, quasi ininterrottamente, perché ero a lido Camogli e mi sarei persa troppe cose, se mi fossi mossa con le mie maledette gambe).
Ho pianto all'inizio. Quando racconti del dolore. E dici qualcosa tipo "non puoi sapere cosa sia il dolore, se non lo hai conosciuto".
Io ho dolori articolari - di merda - da quando ho 17 anni. Non tutti i giorni... però, quando li ho, bestemmio in turco. E mi chiedo "perché io si e i miei amici no?".
Mi hai fatta piangere anche alla fine. La tua storia con Giampaolo. La perdita di Renzo. Il suo volerci essere fino alla fine, per te. Il tuo non poterlo abbracciare.
Quello che hai scritto tu... no. Non c'entra nulla con quello che ho scritto io 😊 allora posso continuare a cercare un editore. Che mi voglia 😉
Ho evidenziato molte frasi belle (poi le trascrivo, con calma, a pc).
Metterò un pensiero sul tuo libro su anobii. Se vuoi, poi, ti dirò.
Una domanda: a te non sembra che il mare... sia l'unico posto in cui possiamo sentirci libere? Dal nostri corpo...
💗un abbraccio, Lila"


Ed eccomi qui, a trasacrivere quelle famose frasi incriminate. Quelle che più mi hanno colpita del libro. Un testo di una verità (non veridicità, è proprio v-e-r-o!) disarmante. In cui Barbara ha preso la malattia e l'ha raccontata, così com'è. Come l'ha vissuta. Senza giri di parole.

(P. 15) "Il corpo s'incendia e resta immobile. Galleggia pancia sotto. ... Attorno tante voci. Anche se il viso è immerso nell'acqua e il corpo galleggia a pancia in giù, le voci si sentono. Sono cariche di paura. Chiamano aiuto.
Il corpo galleggia, immobile.
In un secondo perde i movimenti ma non la memoria.
è così che si comincia una nuova vita.
Nella memoria del corpo."
(P. 31) "la scrittura, da sempre ambizione, ora diventa urgenza, è lo spazio che colma la distanza tra me e gli altri, tra me e il mio corpo. Scrivere non è più solo raccontare ma riappropriarsi di me stessa."
(P. 33) "La scrittura è strettamente legata alla fisicità, più di quanto non immaginiamo. ... la mia scrittura è simile al mio modo di respirare: sempre a brevi intervalli"
(P. 33) "< < Per scrivere non basta il dolore, ci vuole uno scrittore>> diceva Bukowski. Non solo. Per scrivere ci vuole l'immaginazione del corpo che, saggio, sopravvive a sè stesso."
(P. 45) "Nella corsa che terminerà con il mio corpo lanciato contro un sasso in mare, in quei pochi secondi, si raccolgono quindici anni di vita perfetta".
(P. 48) "Perchè è vero quello che scrive Patricia Highsmith < < ...Siamo tutti potenziali suicidi sottopelle e sotto la superficie delle nostre vite>>"
(P. 51) "Come può essere che le vene, i muscoli, i nervi, le ossa esistano senza di te che le abiti? Come può il corpo vivere mentre tu haia la sensazione di esserne fuori?
Ore, giorni, settimane, mesi della mia vita si sono susseguiti mentre io restavo a fissare soffitti aspettando che la bufera passasse. E ho imparato che non esiste l'attimo fuggente ma una pozza esterna senza tempo da cui, a volte, si può uscire. Co calma. Perché dopo un attimo ce n'è sempre un altro.
Questo attimo, però, deve trovarti pronta, perché anche gli attimi non sono infiniti e ce n'è uno che deve essere colto, se no la fine. La fine vera".
(P. 69) "C'è sempre un odore di disinfettante là dentro, in ospedale. Disinfettavano il dolore perché non si propagasse, ma il dolore non scompariva, nessun disinfettante al mondo avrebbe potuto farlo sparire.
...
Non dimentico quello che ho provato. Il dolore annienta, imprigiona, terrorizza. Il dolore - sia fisico o morale - rende schiavi. Si farebbe qualunque cosa pur di liberarsene.
Ricordo che chiedevo a mio padre e a mia madre di aiutarmi a non sentirlo più, quel dolore.
...
Il dolore fisico, par strano, non si dimentica. Pure se ti sembra. Si installa in un angolo della meoria e appena provi qualcosa che vagamente gli somiglia, scatta la paura.
Il dolore, quando lo hai provato, ti cambia e non sei più la stessa. Magari migliore, ma mai uguale. Il punto, però, è che non ho mai pensato che "le disgrazie" rendano migliori".
(http://www.anobii.com/lilaria/books)

Chi mi conosce, intendo... chi mi conosce davvero, non in superficie, lo sa che, nel mio caso, il dolore/ la malattia non mi hanno certo resa una persona migliore. Però diversa dal "prima di quella cosa", credo di sì.

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